L’effetto Sawyer

28 Set 2023 | Book Lover, School

Great resignation”, “quiet quitting”, e, più in generale, considerazioni espresse un po’ ovunque, sui giornali e sui social, in cui si lamenta il fatto che “i giovani d’oggi non abbiano più voglia di lavorare” e che “i ragazzi non sappiano più fare sacrifici e affrontare la scuola con serietà”.

Che cosa hanno in comune fenomeni come questi che sembrano caratterizzare il tempo in cui viviamo? 

Forse più di un elemento. Come dico spesso, è difficile che fenomeni complessi siano interamente spiegati (o confutati) da un unico fattore.

Tuttavia, c’è una parola che non riesco a levarmi dalla testa e che rappresenta, secondo me, un fil rouge che accomuna questi fenomeni e ci può aiutare a comprenderli. 

Si tratta della motivazione.

Motivazione estrinseca e motivazione intrinseca

Semplificando, possiamo dividere la motivazione in due grandi famiglie.

La motivazione estrinseca è quella che cerca di spingere dall’esterno le persone a seguire determinati comportamenti o a raggiungere certi obiettivi attraverso l’utilizzo di premi e ricompense.

La motivazione intrinseca nasce dall’interno dell’individuo e consiste nella gratificazione, nel piacere e nel senso di appagamento che si ha nel fare una determinata azione o nel raggiungere un certo obiettivo. 

Quale motivazione funziona meglio?

Entrambe le motivazioni funzionano se applicate nel contesto giusto.

Daniel Pink, nel suo libro Drive. Cosa davvero guida la nostra motivazione, sostiene che i lavori ripetitivi e poco complessi – lui li chiama ‘algoritmici’ – rispondono ancora bene a incentivi esterni, spesso di tipo economico.

Al contrario, i lavori più creativi e complessi, quelli che richiedono autonomia e competenza per trovare soluzioni non predeterminate, hanno bisogno che ci sia una motivazione intrinseca, che le persone trovino interessante e piacevole svolgere quella attività per se stesse.

Al giorno d’oggi il lavoro si è trasformato rispetto al passato: è complesso, poco routinario, e richiede creatività e autonomia per essere portato a termine. 

Ecco perché risponde meglio alla motivazione intrinseca e anzi, potrebbe essere frenato o compromesso da incentivi esterni.  

E a scuola?

La motivazione intrinseca può essere un potente motore anche per l’apprendimento.

Uno studente è in grado di studiare con più intensità ed efficacia quanto più sente che quello che sta facendo, quello che sta studiando abbia un significato, sia interessante per la sua vita e lo faccia sentire gratificato e soddisfatto.

Si chiama effetto Sawyer il fenomeno in cui la motivazione, in questo caso motivazione ad apprendere, è spinta dalla percezione che ciò che stiamo imparando sia rilevante per i nostri obiettivi o interessi.

Questo effetto è stato originariamente descritto da Robert S. Feldman nel 1983, prendendo il nome da Tom Sawyer, il protagonista del romanzo “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. 

Nel libro, Tom Sawyer riesce a motivare i suoi amici a dipingere una staccionata al posto suo, convincendoli che si tratti di un compito affascinante, gratificante e divertentissimo.

Che cosa possiamo imparare?

Credo che osservando questi fenomeni e conoscendo in che modo i diversi tipi di motivazione possono aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi si possano trarre lezioni importanti:

1) rendere la scuola e il processo di apprendimento interessante, vicino alle passioni e all’esperienza quotidiana dei ragazzi, facendo emergere l’importanza – nel lungo periodo – dello studio e dell’impegno può sviluppare la motivazione intrinseca e garantire migliori risultati;

2) anche nel contesto lavorativo, la perdita di significato circa quello che si fa, il disallineamento tra valori aziendali e valori personali, la mancanza di flessibilità e di possibilità di autodeterminarsi compromettono la motivazione e allontanano progressivamente il lavoratore dalle attività che deve svolgere; 

3) educatori e datori di lavoro dovrebbero prendere consapevolezza di come funziona l’essere umano e la sua motivazione, e investire nel creare ambienti di studio e di lavoro che favoriscano lo sviluppo della motivazione intrinseca.

P.S.: a scanso di equivoci segnalo che lo stesso libro di Daniel Pink afferma chiaramente che anche nei contesti lavorativi più moderni e meno routinari, dove sembrano essere meno efficaci e addirittura dannosi gli incentivi (economici) esterni, il fatto di ‘puntare’ allo sviluppo della motivazione interna del lavoratore non significa dimenticare che alla base ci devono comunque essere condizioni economiche eque per il lavoratore
Questo solo per dire che non tutte le situazioni di ‘great resignation’, ‘quiet quitting’ o disaffezione al lavoro possono essere ricondotte ad un problema di motivazione sbagliata…

Immagine di wirestock su Freepik

Sono Claudia e sono una professional organizer

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